- 1 Giugno 2016
- Posted by: 50PiuEnasco
- Categoria: Pensione, Rubrica Previdenza
Per il diritto alla prestazione contano i requisiti contributivi e anagrafici del coniuge defunto. Sentenza della Corte di Cassazione contro una disposizione dell’Inps.
La pensione di reversibilità spetta in base alle condizioni di contribuzione proprie del lavoratore al momento del suo collocamento a riposo o, se non ancora titolare di pensione, al momento del suo decesso. Lo ha stabilito la sentenza della Corte di Cassazione n. 9229 del 18 febbraio – 6 maggio 2016 dopo aver ribadito che la pensione di reversibilità spetta per ”iure proprio” e non in “iure hereditatis”.
Il senso della sentenza in sostanza è che al superstite viene trasferito il diritto alla prestazione sulla base di quanto già maturato dal pensionato deceduto e alle condizioni amministrative, contributive e anagrafiche vigenti all’atto del suo collocamento in quiescenza.Il caso è stato quello di una vedova alla quale l’Inps aveva negato la reversibilità della pensione in regime internazionale di un pro rata goduta dal coniuge defunto.
Nello specifico, a motivo del diniego, l’Inps aveva sostenuto che la titolarità de iure proprio della pensione di reversibilità presuppone la sussistenza in capo alla richiedente la pensione, dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge. Sussistenza mancante, ad avviso dell’Istituto, perché la stessa richiedente difettava del requisito di 52 settimane di contribuzione richieste per la pensione in regime di convenzione internazionale del coniuge defunto che consentiva il diritto alla prestazione previdenziale, requisito essenziale per poter accedere alla totalizzazione della contribuzione versata in Italia con la contribuzione versata presso altro Stato estero.
La Cassazione, però, non è stata di questo avviso ed ha dato ragione alla superstite.
Dottrina e Giurisprudenza sono sempre state concordi nel ritenere che la pensione di reversibilità è un diritto che si acquisisce non in virtù dell’accettazione dell’eredità (tant’è che spetta anche in caso di rinuncia all’eredità); essa non rientra infatti tra i diritti successori (si parla, a riguardo, di “diritto iure proprio” e non “iure hereditatis”).
Ciò non toglie che i relativi requisiti amministrativi, contributivi ed anagrafici non vanno riferiti al superstite (il che vanificherebbe le caratteristiche stesse e le finalità della prestazione, per ottenere la quale basta il rapporto di mero coniugio o di parentela) e/o all’assetto normativo in vigore al momento del decesso del pensionato anziché a quello in cui è stato collocato in quiescenza.
In buona sostanza, ciò significa che i requisiti per ottenere la pensione di reversibilità devono sussistere in capo al soggetto defunto (cosiddetto de cuius). Del tutto irrilevante è, quindi, il dato relativo al possesso diretto da parte del parente superstite del requisito contributivo.
La sussistenza di tali requisiti non è richiesta nel caso in cui il diritto alla pensione sia già maturato a favore del titolare in via diretta della prestazione, trattandosi in tal caso soltanto di trasferire il titolo dell’erogazione, da pensione diretta a pensione di reversibilità, e riconoscere nella percentuale prevista la medesima prestazione fruita dall’originario titolare.
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Pensione ai superstiti: di reversibilità o indiretta La pensione ai superstiti può essere di due tipologie: se è a favore del familiare del pensionato defunto è una pensione di reversibilità, se invece viene trasferita al famigliare del lavoratore deceduto è una pensione indiretta. Per poter aver diritto alla pensione indiretta, occorre che il lavoratore deceduto, non ancora pensionato, debba aver maturato in alternativa: – almeno 780 contributi settimanali (requisiti previsti per la pensione di vecchiaia prima dell’entrata in vigore del D.lvo 503/92); – almeno 260 contributi settimanali di cui 156 nel quinquennio antecedente la data di decesso (requisiti previsti per l’assegno ordinario di invalidità). |
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